GALLERIA - FORZE ARMATE ITALIANE     
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                                  * LA GRANDE GUERRA *
                             

                                                                        *  IL SACRIFICIO DEI FANTI  *

  

 

 (Museo Vittoriano Roma - AV.it)

  

                       LA  GRANDE  GUERRA       
                                LA  STORIA
                                   I FANTI
                MONUMENTO AI  FANTI
                 IL SACRIFICIO DEI FANTI
  
                               NOI SIAMO QUI 
                     FARO DELLA VITTORIA
                   GALLERIA  FOTOGRAFICA
               VERSI SULLA GRANDE GUERRA
                                  GALLERIA
                             

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALCUNE PARTI DI LETTERE

Durante la Grande Guerra vi fu un’intensa corrispondenza tra i soldati ed i propri familiari. Erano lettere con le quali si cercava di tranquillizzare, consolare le madri, le mogli, i figli, coloro che aspettavano a casa il portalettere, temendo da un momento all’altro di sapere della morte del proprio caro così come era già avvenuto ad un vicino di casa, ad un parente. Bastava una semplice cartolina con un saluto per riaccendere la speranza di rivedersi. Alcuni soldati tenevano un piccolo diario dove potevano fare dei disegni, annotare dei pensieri, alcuni aspetti della guerra, vicende belliche vissute, nuovi sentimenti e sensazioni come vedere saltare in aria un compagno col quale si era appena preso una specie di caffè insieme. Questi diari erano dei momenti di sfogo, di rilassamento e dei compagni di viaggio. Si affidavano alle lettere ed alle cartoline il compito di mantenere un legame tra casa, dove i familiari vivevano di stenti ed erano animati dalla speranza, ed i soldati al fronte spesso demoralizzati per gli orrori della guerra. Scrivevano quasi tutti anche persone analfabete; capitava di dettarle a chi sapesse scrivere ed a casa di leggerle da chi sapesse leggere. Alcune lettere, cartoline potevano essere parzialmente o completamente censurate se contenevano informazioni sensibili o dichiarazioni poco patriottiche. Fu una spontanea necessità di comunicare come era già avvenuto per gli emigranti italiani, e rappresenta una testimonianza di umanità molto importante. Infine vi sono i racconti, spesso postumi la fine della guerra, da parte di chi ha vissuto certi momenti terribili in prima persona o indirettamente. Tutti i documenti riportati sono attendibili e si è voluto riportarli così come sono, effettuando dei tagli, selezioni ben visibili dai puntini. Sebbene spesso scritte in un italiano non corretto, proprio per questo sono da considerarsi genuine espressioni di umanità.

 

Rambaldo Panicucci, nato a Pontedera il 6 marzo 1899, era un ragazzo di 18 anni, studente liceale quando partì volontario. Scrisse la seguente lettera dal fronte il 24 giugno 1917 di cui riportiamo alcune parti : 

 

UNA LETTERA ALLA MAMMA

 

Mamma carissima, ora che ho la comodità, mi accingo a narrare minutamente e con sincerità gli avvenimenti di quest’ultimi giorni: questa mia spero verrà a calmare e a cancellare tutte le apprensioni che eventualmente nutrisse sul mio conto, dopo che ho telegrafato di essere rimasto ferito. Anzitutto, l’avverto che racconterò le cose come stanno, senza né esagerare né diminuirle, con la più piena e schietta verità, e se lei vorrà credermi ogni suo timore svanirà……Speriamo che la censura non intervenga…………. Il giorno 10 scorso, per gran tratto della fronte trentina ebbe inizio il bombardamento per l’azione destinata a farci ritornare in possesso di quelle posizioni, veri baluardi di resistenza che gli austriaci conservavano ancora nel nostro territorio dopo la poco felice offensiva dello scorso anno. Alle sei di mattina s’aperse il nostro bombardamento, il primo cui io assistetti. Cominciarono i piccoli calibri a tuonare, le batterie da 75, ma poi man mano i grossi calibri: i 149, i 152, i280 ei 305. Verso le 8 cominciò la musica delle bombarde. Erano varie batterie da 240 (parlo di quelle prossime alla mia trincea) che lanciavano proiettili di ben 87 Kg. Più oltre c’erano le grosse bombarde da 400 mm, che lanciavano proiettili di quasi 3 quintali…….Io e il tenente Vigilanti….eravamo in un posto avanzato ad osservare gli effetti del bombardamento…Il cielo pieno di ululati, di rombi, di scoppi assordanti, la trincea nemica sconvolta dall’esplosione, l’aria piena di fumo, un acre odore di polvere: tutto un insieme grandioso  e terribile nello stesso tempo….Si vedevano le grosse bombarde partire con enorme rimbombo dalle bocche infocate, salire in alto come tante frecce lanciate a grandissima velocità, tremolare un istante immobili per piombare sulle posizioni nemiche e scoppiare con orrendo schianto. L’effetto di queste bombarde è terribile: scavano buche larghe qualche metro, nel punto dove cadono tutto distruggono, tutto disperdono e riducono letteralmente in polvere. La loro forza di esplosione è tremenda: possono mandare all’inferno un’intera compagnia se la prendono in pieno. Che dire poi dei grossi calibri? Si sentono venire da lontano con un ululato speciale che fa distinguere i più piccoli dai più grossi in modo che chi ne ha pratica può dire con esattezza di qual calibro sono. Il loro effetto non si può descrivere: ho visto con i miei occhi, in seguito allo scoppio di un 280 che è caduto in piena trincea, un austriaco volare!...Questo bombardamento che è durato molte ore, ha addirittura cambiato forma al terreno: le posizioni austriache sembravano senza esagerazione, un campo lavorato; niente alberi, niente cespugli, niente vegetazione. Si tratta di tonnellate di ferro e di esplosivi che sono state lanciate in poco tempo. Purtroppo però gli Austriaci sono poco danneggiati: se ne stavano, durante il bombardamento, sicuri in caverne solidissime, per balzare fuori al momento dell’assalto, alle mitragliatrici………Il mio attendente , un bravissimo giovane, ubbidiente, buono e coraggioso, che faceva parte della compagnia di assalto, colpito in pieno da un shrapnel è morto nell’azione del 10. Povero ed eroico Berna! La sera stessa m’ero recato a cercarlo sotto i reticolati  austriaci, ma seppi dopo che il suo cadavere era stato già ritirato dai nostri………..venne un ordine dal Colonnello che richiedeva alla nostra compagnia un ufficiale per porlo a capo della compagnia d’assalto,…. Io, essendo il più giovane e volontario, mi offersi spontaneamente di assumere il Comando, e dopo viva insistenza ottenni di andare. Senza porre tempo in mezzo lasciai allo stesso Giannuzzi il mio portafoglio con l’indirizzo di casa nell’eventualità di una disgrazia: abbracciai tutti e mi recai a prendere ordini dal Colonnello. Per farla breve erano le 9.30 di sera ; io con i miei uomini attraversammo un tratto battuto, ove molti sono caduti e le granate fioccavano. Che momenti, cara mamma! Io ormai avevo dato l’addio a lei, a Gino, a tutti; mi pareva impossibile scampare, ma non mi sbigottii, no, anzi mi sono accorto come in quei terribili frangenti, l’uomo che non ha paura, acquista una calma e una freddezza da non avere idea : la morte fa molto più paura quando è lontana che quando ci troviamo a faccia a faccia con lei. Proprio al varco aperto nella trincea, per poter lasciare uscire le fanterie, stava un morto, e non lui solo purtroppo, a cui ho preso le sue cartucce ed il suo fucile con la baionetta e sono uscito con gli uomini in mezzo al fuoco infernale nemico. Anche questa volta un temporale con un grande acquazzone è venuto ad ostacolare l’aione. E noi per tutta la notte siamo fra la nostra trincea e quella nemica, sdraiati nel fango sotto l’imperversare della bufera. Oltre la lotta con l’uomo, anche quella con gli elementi! È stata una notte terribile : a intermittenze gli Austriaci lanciavano razzi che illuminavano il terreno come di giorno. Subito dopo, micidiali scariche di fucileria, mitragliatrici, shrapnells!.......Verso la mattina è venuto il momento di andare avanti! Sotto il rinnovato fuoco nemico ci siamo spinti molto sotto i reticolati, appiattendoci dietro blocchi di pietra che formavano un riparo abbastanza sicuro. Col sorgere del giorno è ricominciato l’inferno. Shrapnells, granate, bombe, fucileria e soprattutto mitragliatrici che facevano un micidiale fuoco di interdizione. …..uno dei loro proiettili mi ha colpito al ginocchio attraversando la coscia sinistra un po’ sopra all’osso, fortunatamente. Già la sera avanti, prim’ancora di uscire dalla trincea, ero stato contuso al braccio destro da una scheggia in seguito allo scoppio di un grosso calibro. Alla meglio mi sono trascinato dietro le rovine di un acquedotto…….con l’aiuto dei porta feriti, sono giunto al posto di medicazione, da dove sono stato mandato…….Padova….ho appreso che l’aspirante Giannuzzi, ……era morto, colpito in pieno da una granata! Vede com’è il destino! Pareva che io fossi maggiormente esposto al pericolo: lui stando in trincea è morto, io uscendone sono sempre vivo! Povero Giannuzzi: ……..di appena 19 anni! Ha avuto una gamba troncata e tagliata via di netto all’altezza della coscia, tutto il petto schiacciato e la testa fracassata!........Ecco la mia odissea. Ora sono al convalescenziario di Padova; la mia ferita è quasi rimarginata………Adesso pongo fine a questa già troppo lunga mia lettera. Stia tranquilla che fra pochi giorni potrò annunciare di essere ritornato al mio glorioso ed eroico 22° Fanteria. Preghi mamma, preghi molto per i poveri caduti! Saluti a tutti

              Aff.mo Rambaldo

 

                      Il Soldato Rambaldo Panicucci morì al fronte il 5 settembre 1917

 

LA GUERRA SUL CARSO

 

Riportiamo alcune parti di questi racconti dell’autore Ettore Franci. Contengono alcune “storture” involontarie espressive ma sono una descrizione della guerra di trincea confermate da molti altri documenti, testimonianze. quindi da ritenersi veritiere.

 

Per conquistare pochi metri di terreno bisognava, innanzi tutto, inviare uomini: i tagliafili, a tagliare i reticolati o a farli saltare in aria con “tubi di gelatina”; poi vi era il bombardamento delle linee avversarie, sempre insufficiente, tanto che l’artigliere si doveva mordere le dita per non poter aiutare la fanteria, e infine l’assalto alla baionetta…………..Quando la prima ondata degli Italiani era ormai annientata, subito, una dietro l’altra, si seguivano altre ondate……Era uno spreco, uno sperpero di vite umane inaudito…………Interi reggimenti venivano annientati; i cadaveri dei nostri soldati e di quelli nemici, affratellati nella morte, servivano di parapetto alla nostra trincea e all’arrivo delle cannonate austriache venivano sminuzzati in brandelli, quasi uccisi una seconda volta……………La trincea era qualche cosa di esasperante. Bisognava, tutto il giorno, per ore eterne, rimanere immobili a contatto dei cadaveri in putrefazione, nel fango, nell’acqua, sollevando i fucili perché non si interrassero. Appena qualcuno osava muoversi, la fucilata infallibile del Cecchino, che era sempre alla porta, lo stendeva immobile e rigido nel fango. Si soffriva la fame; si soffriva la sete; si soffrivano le bufere di neve che congelavano mani e piedi che cascavano da soli, il vento furioso; gli abiti ci si appiccicavano addosso fradici e se, per ipotesi, vi fosse stato un momento di calma, gl’insetti, di cui eravamo pieni, cominciavano l’opera loro, così tormentosa e fastidiosa da fare impazzire alcuni. Poi, di notte, assalti nemici, falsi allarmi, razzi che brillavano nel cielo, cannonate, urla e gemiti di feriti. Parecchi, straziati dalle mitragliatrici e dalle schegge, giacevano per ore ed ore tra le due attigue trincee, riempiendo la notte di grida………che cosa il nemico non aveva predisposto contro di noi? Se riuscivamo ad occupare una trincea, poco dopo, questa, perché era minata, saltava in aria con tutti i difensori. Eravamo alla base di una collina……..e giù una valanga di centinaia e centinaia di macigni che stritolavano gambe e teste; frantumavano le nostre deboli difese…….Talvolta erano i lanciafiamme che ci arrostivano e calcinavano; talora come avvenne a Santa Maria, mentre infuriava nella notte cupa e tempestosa una bufera di neve, gli Austriaci si vestivano con abiti bianchi, da fantasmi omicidi, quindi, approfittando del terrore momentaneo e della sorpresa dei nostri, li inchiodavano con le baionette a terra e riprendevano la trincea…………sul monte San Michele, il monte dalle quattro cime ferocemente contese fin dal 1915 sul quale tanto si distinse la Brigata Ferrara, che ha su di esso un semplice ma eloquente monumento al suo valore , il 29 giugno 1916, gli Austriaci eseguirono un attacco con gas asfissianti. Gli Austriaci, protetti da maschere, poterono penetrare nelle posizioni italiane ed uccidere con mazze ferrate i difensori storditi dai gas venefici. In pochi minuti l’assalto costò a noi 200 ufficiali e 6500 uomini di truppa, la metà dei quali per l’azione dei gas. Un immediato attacco dei superstiti di quelle stesse truppe investite dai gas riprese ai barbari, facendo 280 prigionieri, le posizioni da noi perdute. Questa era la cruda realtà. La nostra guerra sul Carso e per ventinove mesi quotidianamente i bollettini di Cadorna elencarono località che per la lotta cruenta che su di essa si svolgeva, per il sangue generoso che costava la loro conquista divenivano a poco a poco famose e che, anche oggi, non si possono ricordare e visitare senza fremere di orgoglio e di commozione : San Pietro, Vertoiba, San Martino, Doberdò, Rupa, Marcottini, Devetaki, Selz, San Michele, Peteano, San Daniele, Boschini, Bosco Cappuccio, Oppacchiasella, Redipuglia, Sant’Elia, Selo, Brestovica, Raccogliano, Castagnevizza, Oslavia, Podgora, San Marco, Grafemberg, le “Trincee delle Frasche e dei Razzi”…………questa guerra fatta di attesa e logorio, che, anche nei momenti di calma, li decimava inesorabilmente con uno stillicidio impressionante. Nelle trincee, quando, tutte le notti, uragani, acqua a rovesci, e vento li faceva sguazzare, immersi fino al busto nella poltiglia fetida………con le gambe nel pantano fino ai ginocchi, con i piedi gonfi e lividi, sapevano bravamente resistere e vincere………..A mezza strada, si incontrarono con altri soldati, smunti, con gli occhi da folli, laceri e stracciati, con gli abiti incrostati di terra rossa del Carso e, forse di sangue….scendevano da Santa Maria e cantavano….:

 

A destra dell’Isonzo ci sta Santa Maria.

Se sei stanco di vivere t’insegnerò la via

 

…dalle tombe degli eroi si elevò……alto, solenne, magnifico il coro di tutti i morti per la Patria:

 

“ Vento del Piave, canta il nostro nome

Sul fiume di vermiglie onde cosperso.

Noi precursori, l’energie non dome

Nell’urto sovrumano di due genti,

vento di giugno, rapisci sull’ali

tricolori, al cospetto dei redenti!

Ricorda ai vittoriosi il sangue sparso,

lo spasimare chiuso di silenti

anime infrante: ai campi trionfali,

ricanta ancora noi, morti del Carso”.

 

LA BATTAGLIA DEL PIAVE 

(Dalle pagine di un diario di Antonio Majolo Ricci )

  

14 giugno 1918, venerdì – Alle 9 di sera lasciamo Carpane. Ci precede nella marcia il 113° Fanteria. Si piglia la via che mana a Castelfranco Veneto (Treviso). La notte si prevede buia: manca la luna. Solo miriadi di stelle brillano nel cielo terso……La marcia incomincia in lieve disordine; poi, man mano che si procede, avviene il distacco di un reparto all’altro, e le interminabili colonne di truppe serpeggiano, nella notte, lungo le strade che menano alla nuova destinazione….E così, tra frizzi e motteggi, risate sonorissime e fragorose, canti regionali patetici e briosi, accompagnati dal passo cadenzato dei fanti e del tintinnio delle gavette malferme, si arriva al bivio di Villa del Conte, ove si sosta per pochi minuti per dare agio ai reparti che vengono da altre direzioni, di mettersi sul nostro cammino……Castel di Godego è in vista……si arriva, si innalzano le tende e si aspetta l’alba senza chiudere occhio.

15, sabato – Imbruniva quando è venuto l’ordine di trasferirci a Fillette (Vicenza)….si rimuovono le tende, si riaffardellano gli zaini e ci si mette di nuovo in marcia…. Man mano che marciavamo, vedevamo il bagliore delle cannonate sul Monte Grappa e sul Col Moschin e poi, avvicinandoci sempre più, udivamo distintamente il rombo dei cannoni. Era uno spettacolo fantasmagorico. Pareva si svolgesse davanti a noi una gara straordinaria di fuochi d’artificio in uno spazio vastissimo. Su tutta la corona dei monti che semicircondano la pianura veneta, il lampeggiare dei proiettili si vedeva……Gli Austriaci ci attaccano nella regione dall’Astico al Brenta. E noi dobbiamo dare il cambio ai reggimenti provati sulla linea del Mussolente.

16, domenica – Il sonno non è stato pacifico, perché molte volte ci è toccato aprire un occhio o due per l’assordante rumore delle cannonate e per qualche bomba lanciata dagli aeroplani nemici…….Un po’ d’acqua è caduta. Aeroplani nostri e nemici volteggiano nel cielo….

17, lunedì – Poco prima dell’alba togliamo il campo. Iniziamo la marcia……il cannoneggiamento continuo dei grossi e piccoli calibri…..non si canta più festosamente, sono canzoni melanconiche…..Siamo a Riese (Treviso). Si dà l’assalto alle fontane con la borracce e le gavette….anche le osterie vengono prese di mira….a ridosso di un vecchio caseggiato vengono drizzate le tende….

18, martedì - ….Si và verso la guerra…c’incamminiamo per Caselle…Altivole….Montebelluna. Proseguiamo. Passiamo un corso d’acqua su di un ponte improvvisato e c’incamminiamo lungo la via pedemontana del Montello Apprendiamo che davanti a noi, sulla strada Montebelluna-Nervesa, si combatte accanitamente. I nemici sono riusciti a forzare il Piave nell’ansa di Nervese ed hanno invaso il territorio fra Campagnole di Sopra e Castelviero…….siamo di rincalzo. Il 113° Fanteria è già linea e compie il suo dovere. Aeroplani nemici cercano mitragliatrici. Una batteria antiaerea li mantiene in soggezione. Passa tutta una lunga giornata, vivendo nell’ansia continua, ed assistendo alla interminabile sfilata di feriti nostri e prigionieri nemici.

19, mercoledì – Notte calda. Cannoni, mitragliatrici e fucili hanno funzionato ininterrottamente. Anche le bombe a mano hanno fatto sentire il loro caratteristico sibilo. All’alba lasciamo il nostro accampamento, siamo andati incontro al nemico sul tratto di strada Schiavonesca-Bavaria. Prime scaramucce; primo ferito nostro. Sulla nostra sinistra la battaglia infuria. Un altro ferito nostro, poi un altro ancora. Avanziamo e retrocediamo. Attacchi e contrattacchi per tutta la giornata… L’acqua vien giù a catinelle, ma si combatte sempre con esito alternato. E la sfilata continua dei feriti e dei prigionieri.

20, giovedì – Avanziamo sulla strada BavariaSovilla, lungo la pedemontana del Montello. Nella notte abbiamo assediato il castello di Sovilla. Il nemico impiega gas asfissianti e lacrimogeni, obbligando i nostri reparti in linea ad indietreggiare. ….sulle alture di Nervesa, siamo andati due volte all’assalto. Resto ferito lievemente al mento da una baionetta tiratami da un austriaco, il quale in premio al suo eroico atto, è caduto colpito da una fucilata sparatagli a bruciapelo dal soldato Righetti ch’era a me vicino. Con l’iodio arresto il sangue, poi fascio la testa servendomi del pacchetto di medicazioni…..Si battaglia sempre….Acqua e sole; sole e acqua. La battaglia diviene più aspra: i nemici incalzano per aprirsi un varco; noi a formare una salda barriera umana stringendoli sempre più da vicino……Arrivano i rinforzi: sono Brigate di Fanteria e nuove Sezioni di Artiglieria. Oltre cento velivoli volteggiano nel cielo nuvoloso. Molti cadono in fiamme. Si sparge la voce che nella mattinata di ieri il Maggiore Baracca sia precipitato col suo apparecchio fra i nemici. Si teme per la sua sorte. È un valoroso. Al suo attivo ha 34 vittorie aeree.

21, venerdì - …Ordini tassativi di resistere ad oltranza, contrattaccare, non interrompere la continuità delle linea. Attacchi e contrattacchi presso Giavera…Il nemico  che finora attaccava in continuazione è stato costretto a passare alla difensiva. Le nostre artiglierie hanno raggiunto quest’oggi una formidabile potenza di fuoco. Il nemico pare voglia abbandonare il campo di battaglia. Su parecchi punti si é ritirato.

22,sabato – Ha piovuto tutta la notte. Il bombardamento continua, sempre intenso. Piccole pattuglie esplorano il terreno facendo prigionieri. Anch’io vi prendo parte….

23, domenica – Il nemico man mano viene ricacciato. Lotta accanita. Accanto ho un soldato ucciso ed alcuni feriti. La scampo per un miracolo….Alle 15.45 arriva l’ordine di espugnare le improvvisate trincee che gli austriaci hanno scavato intorno al caseggiato di Nervesa……Ovunque buche e fosse prodotte dagli scoppi dei proiettili di artiglieria; cadaveri di soldati nostri e di soldati nemici; affusti e cassoni di cannoni sconquassati abbandonati nella fuga disordinata, mitragliatrici con nastri ancora intatti, gavette, tascapani, borracce, pugnali, bombe da mano e mazze ferrate. Che spettacolo! Nei canali, nei fossi, nei viottoli, nei campi, nelle case, migliaia di cadaveri giacciono, macabra testimonianza dell’accanimento inaudito della battaglia. E noi ad incalzare sempre più, e loro a ritirarsi fino al Ponte della Priula……….vediamo altresì che la corrente del fiume, divenuta rossastra, nell’ansa di Nervesa, trasporta al mare uomini vivi ed uccisi, cavalli e muli furenti. Alle 20 e qualche minuto Nervesa è in nostro possesso, dopo di aver battagliato nelle vie, nelle piazze e financo nelle case trasformate dal nemico in tante piccole ridotte. Non una casa si vede in piedi intera. Rovine ovunque…….A noi davanti scorre il Piave….

24, lunedì – Non tutti gli austriaci hanno ripassato il fiume….Lotta di bombe da mano. A corpi a corpi. Inseguimenti. Prigionieri. Restiamo a presidiare il Ponte della Priula…….Mi resta impressa la vista di un austriaco a terra supino: di sopra , bocconi, un fante giovane: tutti e due trafitti dalle proprie baionette.

25, martedì – Lasciamo il Ponte della Priula per recarci all’Abbazia di Nervesa ove rimaniamo di rincalzo…………….

 

1916 VAL TERRAGNOLO NEL TRENTINO

(Tratto dall’autore Ettore Castioni)

 

Mi trovavo nella Val di Terragnolo nel Trentino, in località denominata Volta, ...Là vi erano le prime linee nostre e a distanza di 50 o 60 metri quelle austriache. Io facevo parte del 79° Reggimento Fanteria, 7° Compagnia, quale portaferiti reggimentale. Come tutti i combattenti sanno, i portaferiti reggimentali si trovavano sempre in trincea insieme con le truppe di prima linea, e sono i primi a medicare le ferite e portare in salvo i compagni per poi consegnarli ai soldati di sanità  o alle infermerie……..Una sera, eravamo in baracca ……in baracca, al lume di qualche lanterna ad olio, sdraiati o seduti sulla paglia, si discorreva. Chi leggeva qualche ritaglio di giornale, chi le lettere di casa o delle fidanzata……Ormai tutti si era in procinto di addormentarsi …….io, Garonzi, Occhiuzi, Vitali e Cappelletti, non so come ci sia venuto in mente di uscire dalla baracca, forse per prendere una boccata d’aria. Ebbene, appena siamo fuori dalla baracca, sentiamo il solito e noto sibilo, come di una granata, ma subito abbiamo intuito che si trattava di una tradotta, bombarda austriaca, che va a scoppiare proprio sulla baracca…Lo scoppio fu terribile. Benché la baracca fosse stata coperta di sacchetti di terra, è stata in parte distrutta. La tradotta aveva fatto strage di quelli che vi erano dentro……Al trambusto dello scoppio, seguì, come al solito, il panico, e tutti ci precipitammo in galleria credendo che fosse il solito preludi odi un nuovo bombardamento, ma dentro in baracca si sentono gemiti e grida. I primi a correre furono il Capitano Tedeschi, il Tenente Mandrile, e noi portaferiti. Triste spettacolo, in mezzo a un fumo asfissiante, vediamo cinque soldati esanimi e sfigurati dalle ferite e dal terriccio. Qualcuno invocava la mamma. Due non davano più segno di vita, e abbiamo dovuto, per riconoscerli, sfregare via dalla faccia sangue, terra e carne. Gli altri erano ancora vivi, ma gravemente feriti…

 

Due frammenti tratti dai RAI STORIA : LA GRANDE GUERRA

[      " I feriti giungono numerosissimi e gravi in un stato pietosissimo, alcuni impazziti, altri terrorizzati, con gli abiti inzuppati di sangue e fango, come bambini invocano la madre poi il loro sguardo smarrito si posa su di noi per chiedere aiuto e protezione...così avevano l'illusione di avere accanto la madre o la sorella..... e i loro ultimi momenti erano un po’ meno dolorosi "

(tratto da una lettera di A. Boniotti)

" Ogni barella è una nuova tortura, ... e guardo gli avanzi di quella che è stata una gagliarda giovinezza, un viso a metà asportato, braccia pendenti dalla sola pelle o mancanti del tutto ......"

(tratto da una lettera di una infermiera)      

 

DUE FANTI

(Tratto dal racconto di Giovanni Ferippi )

 

Procedevamo lentamente…quasi strisciando per terra…e per fortuna già tre razzi non ci avevano sorpresi….ma il quarto mi colpì in pieno. Esposito era poco distante da me e si schiacciò, quasi, dietro un masso di roccia. Io, prevedendo la scarica, cercai di raggiungere quel sicuro baluardo. Troppo tardi! Una raffica mi fece stramazzare al suolo, sanguinante. “ Non ti muovere Esposito !” ebbi la forza di dire. Pur nel dolore spasmodico delle ferite che martoriavano le mie carni, per uno strano caso conservai una perfetta lucidità di mente. Gennaro Esposito disobbedì al mio comando. Mi raggiunse…..Mi afferrò quasi sotto le ascelle, come un fanciullo, stringendomi al suo petto, per alleviarne il peso, e mi trascinò verso il nostro camminamento. Volgeva il dorso alla insidia nemica e col suo corpo faceva da scudo al mio. La raffica riprese inesorabile. Esposito incespicò come colpito; piegò quasi il ginocchio, riuscì a rialzarsi e proseguì la sua marcia eroica. Fu nuovamente colpito ed ebbe ancora la forza sovrumana di proseguire, finché cademmo uno accanto all’altro, allo sbocco del camminamento, confondendo il nostro sangue. “ Grazie!” dissi con un fil di voce. “Capità…..s’ie more….scrivite a mamma mia ….E dicitincello c’o figlio suje ha saputo fa ‘o surdato….” Un fiotto di sangue gli troncò la parola….Il suo corpo ebbe un’ultima contrazione e poi rimase immobile sulla terra nuda……….

 

                  Il Soldato era Gennaro Esposito nato a Napoli il 1889

 

FRAMMENTI E SCHEGGE

( composizione fatta con frammenti di lettere e/o racconti )

 

Tra i frammenti riportati si segnalano i fenomeni delle diserzioni, degli ammutinamenti, rifiuti a combattere che avvennero diffusamente in tutte le trincee di tutti gli eserciti. In particolare nel 1917 la Francia ebbe il problema dell’ammutinamento di intere divisioni. Questo fenomeno fu controllato, ma a costo di alcune fucilazioni. La guerra di trincea logorava prima del fisico, la mente, e la Grande Guerra fu una carneficina che si protrasse per quasi cinque anni.

 

 Un fuoco infernale di artiglieria e di bombarde sconvolge, nel momento che ti scrivo, tutto il terreno intorno a noi ……Abbi dunque coraggio e pensa sempre a tua madre, prega Iddio che ti accordi di rivederla... tutto è silenzio soltanto il cannone tuona …… S’incominciava a lasciare qualche ferito; qualcuno più preso bene anche moriva……. Se la trincea era dura, l’assalto era un incubo…… Uscire dalla protezione della trincea e lanciarsi nel vuoto, verso le armi che sputavano fuoco…… I proiettili sibilano sopra la mia testa, e dopo un breve istante si vede una colonna di fumo seguito subito dal formidabile rombo….. A ondate, a rivoli, a frotte, a gruppi, i Fanti scavalcavano i parapetti, i reticolati sfondati, i mucchi di cadaveri e le pozze di sangue…….se morirò non piangere, tante altre madri in questo momento piangono i loro cari figli caduti per la patria….. dopo alterne e sanguinose vicende di assalti e contrassalti per il conteso possesso di quel massiccio brullo, sotto ad un incredibile inferno di fuoco, di proiettili di grossi calibri che sconvolgevano rabbiosamente il terreno, aprendo vaste e profonde voragini nel suolo pietroso e gettando all’aria colonne immense di rocce scheggiate e uomini vivi e morti, dilaniando gli uni e gli altri……..fischi taglienti, sibili rauchi, scoppi paurosi. La terra trema, si squarcia, si polverizza, divorata da proiettili enormi che aprono voragini fumanti….I sopravvissuti che attendono di morire cadono in un’atonia inerte che li rende simili ai cadaveri cui s’addossano…..La sua gamba destra colpita da una grossa scheggia, è quasi staccata. Solo pochi filamenti di carne nuda l’uniscono ancora alla coscia………Ho visto uccidere uno perché s’è rifiutato di combattere….. qualcuno disertava, una volta ho assistito alla fucilazione di uno….insieme ai fumi degli scoppi e ad un odore misto di polveri, di terriccio,di immondezze e di cadaveri che dava un’indefinibile sensazione di ribrezzo…. Ci davano il cognac e andavamo all’assalto…. Uno scoppio di granata, uno schianto e un filo di sangue esce dalla bocca, leso gravemente i polmoni mentre il braccio è amputato in ospedale : muore il giorno dopo….. Colpito nel viso, un Fante cade riverso, senza un lamento….

 

IL MONTELLO 

(autore del racconto anonimo, non ancora individuato)

 

Pareva l’inferno. In quei giorni di giugno, il Montello, imbevuto di sangue, s’era tramutato in un cratere immenso. Tuoni, sibili, rombi, scoppi, schianti ; … Urla, grida, gemiti, rantoli, singulti : le mille voci alte o fievoli della guerra umana….La roccia si sbriciolava, la terra si apriva, raffiche di pallottole e grandinate di schegge, s’abbattevano insieme come le rovine d’un cielo frantumato, percotendo ogni ciottolo, perforando ogni zolla, sconvolgendo anche ogni sconvolgimento. Lampi, folgori, bagliori : tutte le vampe d’un rogo sterminato……..Dove, un istante prima, un plotone si slanciava all’assalto, la nuvola densa di fumo biancastro copriva un cimitero. Dove sventagliavano le mitragliatrici, in un pinnacolo gialliccio roteavano monconi informi…un’ondata di baionette potava la carneficina e il silenzio. Le colonne in marcia sorvolate dagli aeroplani incendiati, svanivano dissolte in gruppi di superstiti appostati nelle anfrattuosità…..dov’erano i reggimenti, i battaglioni, le compagnie, i plotoni? Qua, là, più innanzi, più indietro, a destra, a sinistra, di rincalzo, in linea, in ritirata, all’assalto, secondo le vicissitudini mutevolissime della battaglia improvvisata ad ogni ora, rinnovata ogni dieci minuti. Snodato, diviso, sminuzzato, l’Esercito esisteva nelle sue piccole unità, ciascuna aggrappata ai suoi trinceramenti, salda come una roccia……

 

LE TRUPPE D’ASSALTO

 

Nella Grande Guerra operarono anche le truppe d’assalto di diversi paesi : dette “Sturmtruppen” quelle austriache, le “Sturmpatroulen quelle germaniche. Erano gruppi di soldati addestrati ad agire in maniera fulminea e dirompente per cogliere di sorpresa il nemico, al fine di realizzare determinati obiettivi, o spesso, semplicemente di creare dei varchi nelle linee nemiche, così da consentire alle fanterie lo sfondamento del fronte nemico. In Italia l’idea di una truppa d’assalto fu concepita dal Maggiore Cristofaro Boseggio nel 1915 cercando di realizzare un reparto detto la “Compagnia della morte”. Di fatto non si concluse nulla, e il Regio Esercito decise la costituzione dei reparti d’assalto solamente dopo che l’avevano già fatto gli eserciti nemici nel 1916. Nacquero così le Fiamme Nere come reparto di Arditi nel 1917: le Truppe d’Assalto italiane. Furono concepiti in seguito altri gruppi d’assalto come gli Arditi delle Fiamme Verdi (Alpini) e le Fiamme Cremisi (Bersaglieri).

 

REPARTI D’ASSALTO  (tratto ed elaborato dagli scritti di Giovanni Ferippi)

 

Gli Arditi erano dei guerrieri, un esperimento dovuto alla tenacia di due ufficiali d’ingegno e senso pratico, il Generale Grazioli ed il Colonnello Bassi, ai quali spetta il merito, oltre quello dell’idea iniziale, dell’attuare ordinamento delle grandi unità d’assalto. Le Fiamme nere furono le prime a combattere. I corsi della loro scuola si tennero a Pradis, comandata dal Generale Grazioli che formò questo nucleo scegliendo tra i reparti alle proprie dipendenze, i soldati migliori e per disciplina e per ardimento. Egli affidò l’istruzione di questi uomini al Colonnello Bassi, all’epoca maggiore. Seguì al campo di Boatina un altro gruppo di Arditi al comando del Maggiore Solano. Poco dopo a Manzano la scuola delle Fiamme Nere diretta dal Bassi stesso che inquadrò e formò il primo reparto d’assalto.

 

Alcuni motti delle truppe d’assalto : “A nessuno secondo per valore e coraggio” ; “l’Italia sopra tutto. Noi innanzi a tutti” ; “Educazione, Onestà, Valore” ; “Chiusa fiamma è più ardente”

 

Dal decalogo dell’Ardito : “Ardito ! Il tuo nome esprime coraggio, forza e lealtà ; la tua missione è la Vittoria ad ogni costo” ; “Per vincere, numero ed armi non bastano; sopra ogni altra cosa vale Disciplina e Audacia. Disciplina è espressione di bellezza e di forza morale altissima” ; “La vittoria è al di là dell’ultima trincea del nemico, è nelle sue retrovie; per giungervi adopra violenza ed astuzia, né curare se nell’avanzata impetuosa nuclei avversari ti restano alle spalle. Se il nemico ti aggira mantieni i nervi saldi ed aggiralo a tua volta….”

 

Gli Arditi cantavano : “…Vogliamo redimere il suolo – che il piede straniero ha oltraggiato. Gli Arditi l’han tutti giurato : Sterminio e morte all’invasor…”

 

Si aggiunsero alle Fiamme Nere, le Fiamme Cremisi e le Fiamme Verdi ; tutte diedero il loro contributo alla vittoria, alimentando il mito degli Arditi della Grande Guerra.

 

“Noi siamo l’ariete che sfonda

Il polso che rota la fionda.

A noi ! Siamo cento siam mille.

Gran foco da parve faville.

A noi ! Quando Morte s’avanza,

E noi l’invitiamo a la danza,

Per picchi, per fossi, per monti,

Su l’acque che vincon i ponti,…….”

 

Potrebbe sembrare che i nostri Assaltatori eseguano una certa cosa, avendo ricevuto un certo ordine; violenta in base all’articolo “C” del regolamento “Z” e coraggiosa secondo il tenore della circolare “Z”. Dio ce ne liberi ! No. l’Ardito italiano è soprattutto italiano : la collettività non soffoca l’individuo e la disciplina non ostacola l’iniziativa personale. Ogni atto di valore ha le sue caratteristiche e anche nel coraggio no v’è uniformità…….Quel che commuove, vivendo un po’ fra i reparti delle truppe d’assalto, è l’affetto che lega i soldati tra loro e i soldati agli ufficiali. La stima è il cemento di questa unione….

 

NELLA NOTTE

( racconto di Paolo Rallo )

 

Aprii gli occhi ; era notte e pioveva. Annaspai colle mani e sentii una viscida melma. Il gorgoglio dell’acqua, ed il lamento degli alberi curvi sotto la sferza del vento : nulla più. Allora ricordai. Il fulmineo combattimento. Il grido di morte ; tutto ricordai. Vidi Giorgio Fantini cadere ; anch’io caddi. Poi più nulla. Palpai con la mano il ginocchio sinistro e sentii un acuto dolore che mi fece stringere i denti per trattenere lo spasmo. Slacciai la mollettiera, il che mi fece bene. Uno shrapnell passò rapido, fischiando. Benché la pioggia mi fustigasse la faccia, benché il mio corpo fosse inzuppato fino al midollo, soffrivo un caldo terribile ; la fronte mi bruciava, avevo la gola arsa. E avevo la febbre. Non so quanto tempo restai così ; sentivo però che una grande debolezza seguita da una lenta sonnolenza s’impadroniva del mio corpo. Tentai più volte di sollevarmi, ma non potevo, mi sembrava di essere inchiodato in quella palude mortale…….Mi parve di percepire un fruscio, come di un corpo mosso ; mi voltai e scorsi un’ombra strisciante che, goffamente, veniva verso di me. Un’altra vita che scompare, un’altra giovinezza recisa, pensai. L’ombra mi fu vicina : la riconobbi : era Giorgio Fantini! “chi sei?” mi disse toccandomi il viso. “Sono io, Giorgio ; non mi riconosci? Sono Alberto”. Mi toccò tutto il corpo, il collo, il volto, con le mani tremanti e lorde “sei ferito?” mi chiese. “Si : ho un ginocchio che mi fa soffrire terribilmente. E tu? Con la voce rotta da un singhiozzo mi rispose : “non ci vedo più, Alberto….”. strisciandomi mi feci vicino, gli presi una mano. “coraggio” gli dissi. Non rispose. Lo scossi : nulla. Era svenuto, forse morto. Nella mia mente febbricitante, cose fantastiche, diaboliche, multicolori, si sovrapponevano l’una sull’altra. Reclinai la testa ; svenni. Sentii fresco intorno a me. Era il fresco delle lenzuola pulite di un letto. Silenziose, quasi fuggenti, delle ombre bianche mi passavano dinnanzi. Quasi non le scorgevo. Avevo gli occhi semichiusi. Sentivo la pace, la quiete. Girai lo sguardo attorno smarrito e vidi, in un letto accanto, un viso avvolto in panni bianchi. Un uomo coperto da una tunica bianca, mi si avvicinò sorridendo. “Chi è ?” gli chiesi, additando il mio vicino. Si volse, poi mi porse una piastrina di riconoscimento. Era Fantini!....Più con lo sguardo che con la bocca volli sapere. Il dottore si toccò gli occhi. Impallidì……”Coraggio” mi disse, “ Ora tocca a voi !...........

 

UN PADRE AL FIGLIO IN TRINCEA, AGOSTO 1916

 

Roberto carissimo, ogni tua lettera in questo terribile momento è un sollievo per la mia povera anima stanca dalla guerra che mi ha cagionato dolori indicibili. Sei vivo e basta ! Non voglio sentire altro : l’interessante è che tu sia tra i vivi perché i morti sono innumerevoli e crescono di giorno in giorno. …………pregavo il Signore di lasciarti salvo per non accorciare la mia esistenza. È necessario, Roberto caro, che tu scriva ogni giorno per no fare soffrire ogni giorno il tuo povero papà che spinge cogli occhi e col pensiero questi giorni amari e sospira la quiete e la pace……….Il popolo d’Italia tutta freme ad ogni comunicato. Nei caffè, nei bar, nelle parrucche rie, nel cinema, nei teatri, ovunque c’è un essere vivente si parla di voi e delle vostre gloriose gesta. Ogni affare commerciale è paralizzato ; il cuore d’Italia batte per voi ; non c’è altro discorso, non si sente dire altro che battaglia e battaglia ; seguiamo i vostri passi, i vostri atti, i vostri sospiri……………  Vinceremo! Abbiamo vinto! La bandiera benedetta da Dio sventola gloriosa nei suoi santi colori e dice al mondo : Ecco la bandiera dell’onore : mi hanno innalzata i miei figli, i prodi fanti che costituiscono il mio esercito ; io sono il segnacolo dell’onore, della libertà, del progresso, della pace ; nessuno mai più mi calpesterà perché si leverebbero in armi i miei figli …….i morti del Carso si rialzeranno……………….Ti benedico e ti bacio. Papà.

 

LETTERA ALLA MOGLIE DAL FRONTE DEL CARSO 1916

(tratto dalla lettera di Adolfo Amodeo)

 

……..Il soldato non è un personaggio melodrammatico, pieno di fanatico slancio, sicuro del fatto suo, a cui importi poco vivere o morire, il clichè ridotto dello spartano alle Termopili che sogliono dipingere i giornali. Sono invece, anime in crisi il cui pensiero è l’immagine della morte sempre presenti suscitano spasimi ed entusiasmi, vogliono vivere e perciò sanno anche combattere…….

 

121° FANTERIA – NELE TRINCEE DEL CARSO – INVERNO 1915

(racconto di Bauci Menotti)

 

In prima linea da parecchi giorni……….La nostra trincea, ex prima linea nemica, non molto profonda, con delle specie di ricoveri coperti con teli da tenda e da sacchetti, nei quali vi potevamo entrare carponi, non permetteva di stare in piedi che in qualche raro punto, seguiva un andamento sinuoso presso a poco parallela a quella nemica e distante da questa in alcuni punti circa 100 metri, in altri 50 ed in un punto quasi a contatto. Quel punto terribile era un ex camminamento lungo circa un centinaio di metri che univa le due linee nemiche e troncato a circa metà da un rovinio di sacchetti a terra, reticolati, e da corpi di austriaci che incominciavano ad imputridire………..c’erano ancora dei grovigli di reticolati purtroppo ancora interi, e nel terreno fra le due linee giacevano ancora i corpi dei nostri compagni e quelli di altri reggimenti che ci avevano invano cozzato contro…il presidiarlo era una vera sofferenza per il fatto che qualunque movimento ci era impossibile perché immediatamente arrivavano fucilate e bombe dai cecchini che vigilavano come noi, e nelle feritoie, poche e mal fatte non potevamo tenere pronti i fucili che tenevamo a portata di mano con la baionetta innestata, perché, data la vicinanza le visibilissime canne sporgenti sarebbero divenute tanti centri di bersaglio, bisognava stare raggomitolati sul fondo ineguale di quel maledetto “budello”…….Spesso le fucilate e le bombe causavano feriti o morti ed allora il patire era maggiore perché non potevamo trasportare o soccorrere i feriti ; dei quali molti purtroppo morivano per la mancanza immediata di cure e per la perdita di sangue. I morti poi rimanevano con noi fino a notte. Era uno strazio per noi ormai vecchi del Carso……duri e non facilmente commuovibili ; il vedersi morire o rimanere ferito senza possibilità di soccorso, un compagno, un amico, un camerata e vederlo agonizzare e morire……….freddo, pioggia e fango, l’odioso indimenticabile fango rosso del Carso, attaccaticcio che sembrava esalasse odor di sangue e che penetrava dappertutto e ci impiastrava….stare fermi ore ed ore senza nulla poter fare, altro che attendere………..

 

UN GIORNO QUALUNQUE

(racconto di autore non individuato)

 

……….Le nuvole di fumo, bianche e giallicce,ingombravano in tanta parte la scena crudele, involgendola entro un sudario acre, accecante, irrespirabile. Sfratto dal vento, ricomposto ad ogni minuto da nuovi scoppi frequentissimi………fra le cortine di fumo e le rose di fuoco, le ondate umane salivano, frammischiandosi in un groviglio pauroso di squadre contro manipoli, di gruppi contro plotoni, di fucilieri isolati fra membri di nemici accerchianti. Le baionette nude stridevano e s’arrossavano. Gli uccisi cadevano sulla pietra dura col ventre squarciato. I feriti invocavano il soccorso o la morte, tentando di trattenere con le mani lorde il sangue che sfuggiva a rivoli per gli strappi della carne martoriata……Squassato dal bombardamento…….grossi abeti, schiantati come fuscelli, crollavano nel frastuono…..Il fronte della battaglia oscillava, avanzando e retrocedendo ad ogni nuovo impeto dei nostri o degli austriaci……..

 

LUNGO IL PIAVE – 15 GIUGNO 1918

(racconto di autore non individuato)

 

……..Dal Grappa al Caposile correvano, lungo la destra del Piave, settantacinque chilometri di trincee italiane su tre ordini. Di fronte questa fascia difensiva …concentrate due Armate d’assalto e 2155 bocche da fuoco di tutti i calibri. Alle 3 del 14 giugno 1918 i 2155 pezzi del nemico si scossero tutte d’un colpo solo, rovesciando sulla destra del Piave una grandinata di bolidi. Noi opponemmo agli austriaci 1861 cannoni. Mentre l’uragano terrificante sbrecciava le difese, spianando gli argini, colmando le trincee, sbriciolando le ridotte, atterrando i reticolati, i nostri tiri di contro – preparazione dovevano maciullar le divisioni austriache ammassate sulla sinistra del fiume. pegno della futura vittoria ….prima delle baionette, dovevano trionfare le batterie……..La prima linea non esiste più. La vista, rattristata dall’aspetto lugubre del cimitero……spalti di terra, rivestimenti di graticcio, camminamenti profondi, piazzuole di cemento : tutto è un orrore raccapricciante sparso di cadaveri maciullati, riversi, mezzo interrati, irriconoscibili……..Anche nella seconda linea, ormai insostenibile, tutto si fa morte e rovina….La terza linea resiste……..I barconi austriaci fanno da spola, riversando ad ogni tragitto ondate d’assalitori e decine di mitragliatrici. Gli austriaci, sempre più numerosi, sono ormai sulla riva destra. Innanzi a loro, per un buon tratto, c’è solo un camposanto arso, scheggiato, sconvolto…….La valanga nemica, alimentata sempre da contingenti nuovi, si addensa e si scaglia…gli assalitori avanzano urlando………….Caduto riverso, il Fante Spartaco Lantini non ha una parola, un gesto, un lamento. Un soffio, l’estremo soffio della vita percorreva ancora le sue membra gelide, quando un Fante curvo su di lui gli diceva, con voce d’orgoglio e di pianto : “ Il nemico è respinto”. Erano le 10 del 15 giugno 1918.

 

                                                                    Il Fante Spartaco Lantini morì all’età di diciannove anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         

                                                    ( Museo Vittoriano Roma - AV.it )

  

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